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Tema - Testimonianza di Goti Bauer
Di Riccardo Corsini

Martedì 29 gennaio la mia classe ha presenziato alla celebrazione della Giornata della Memoria, avvenuta al Conservatorio di Milano.
Quel giorno avremmo assistito alla testimonianza di una signora sopravvissuta alla Shoah, Goti Bauer.
Sfortunatamente la signora Bauer si è assentata per motivi di salute, che le hanno impedito di essere presente. Essa ci ha comunque salutati via cellulare, scusandosi di non essere potuta venire e di non potere raccontarci la sua esperienza.
Gli organizzatori hanno velocemente deciso di proiettare su uno schermo la testimonianza dell’anno passato.
Ringrazio calorosamente la signora Goti Bauer che anche se non in un buon stato di salute è comunque riuscita a salutarci e a lasciare la sua testimonianza, così che noi potessimo osservarla.
La testimonianza è stata introdotta da una lettura e da un brano per violoncello eseguito dal vivo, suonato da un’alunna del Conservatorio.
La storia di Goti Bauer è molto triste, e bisogna pensare che quello che è accaduto a lei è più o meno la stessa esperienza che hanno vissuto circa 6 milioni di ebrei.
Immaginate una ragazzina di 14 anni, cioè della mia stessa età, che a partire da un normale giorno della sua vita, il 17 Novembre 1938, si è trovata di fronte ad uno dei periodi più scuri della storia italiana, cioè l’emanazione delle leggi razziali e relative conseguenze.
Lei non è più potuta andare a scuola, frequentare luoghi pubblici ormai riservati solo alla gente non ebrea ed era rifiutata dai suoi amici, che non la degnavano neanche di uno sguardo, anche se non lo facevano per cattiveria ma più probabilmente per paura.
Adesso lei vive sotto pressione, con suo padre, che è malato, e con la sua famiglia.
Inizialmente riescono a non essere catturati grazie a documenti falsi, ma vengono scoperti da un dottore che però non comunica ai nazisti la sua scoperta, e consiglia alla famiglia Bauer di scappare.
Allora insieme a suo padre Goti si reca da dei contrabbandieri che le promettono di attraversare il confine con la Svizzera sani e salvi.
Dopo una lunga camminata Goti, insieme ala sua famiglia, oltrepassa il confine svizzero, dove scopre di essere stata tradita e viene consegnata ai nazisti. Da quel momento lei vive una vita sul filo del rasoio, a contatto con la morte. Dopo vari spostamenti, anche per il carcere di San Vittore di Milano, viene portata ad Auschwitz, dove non ha neanche il tempo di salutare i suoi familiari. Viene portata nella stanza dove le vengono rasati i capelli, le viene concessa una doccia e le vengono consegnati degli stracci, il suo nuovo abbigliamento. Infine le viene tatuato il suo numero, la sua nuova identità. Quando chiede ad un soldato che fine hanno fatto i suoi familiari lui le indica un camino di una casetta non tropo lontana, dicendole che se non sono già stati inceneriti, lo saranno tra poco.
Dopo un’estenuante permanenza nel centro di detenzione, viene liberata dagli americani, nel 1945.
Questa testimonianza mi ha fatto riflettere molto.
Essere discriminati all’età di 14 anni, con il tuo miglior amico che fa finta che tu non esista, essere venduti ai nazisti per poi essere trasportati in condizioni disastrose ad Auscwitz, e viverci in condizioni altrettanto misere; ebbene, questa ed altro esprime la crudeltà del regime nazista/fascista, la situazione precaria dei deportati e la loro emarginazione sociale.
Bisogna pensare che ad Auschwitz i detenuti non avevano un identità, non avevano più un nome, che era stato sostituito da un numero. Cadere sul fondo non era difficile, ma bisognava rimanere coscienti, pensando a qualcosa, ricordando la propria cultura e le proprie origini, proprio come fece Goti Bauer, oppure Primo Levi, e probabilmente altri sopravvissuti alla deportazione.
Questa testimonianza, anche se registrata, ha comunicato una sensazione di sofferenza chi l’ha ascoltata, compreso me.

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